lunedì 27 aprile 2009

L'odore del terrore


Non so dire che cosa si provi a parlare al telefono con una persona che si è vista recapitare una testa mozzata di animale come avvertimento: non so dire se l’abitudine che Michele Cagnazzo ha fatto in qualche modo alla cosa possa aver attutito lo shock. Credo proprio di no.
L’odore nauseabondo di una testa mozzata che ti arriva a casa per ricordarti che quello che fai pesta i piedi a qualcuno, deve essere una cosa difficile da dimenticare. Un odore ficcante, intenso, che ti rimane addosso anche quando credi di essertene liberato. Come la sensazione del naso rotto, quando da bambino cadendo ti facevi male. Poi, dopo la prima volta, ogni volta che cadevi o stavi per cadere, ti sembrava di sentire l’odore del sangue nelle narici ed il sapore che scende anche nella bocca.
Immagino così il momento del ritrovamento, immagino che quell’odore ricordi ogni giorno che lo spiegare ai giovani, nelle scuole o negli incontri pubblici, che l’atteggiamento mafioso del silenzio è sbagliato, è il letame che permette all’illegalità di crescere, di mettere radici forti, come l’erba spinosa che cresce sul terreno concimato.
Ho chiamato Michele nel pomeriggio, per sentirne la voce. L’ho sentito rassegnato, ho colto nella sua voce una volontà di ferro, ma anche quel velo sottile di tristezza, di rassegnazione per un paese, per una città che difficilmente riesce a svincolarsi dalle logiche della forza, della violenza e del ricatto.
Ha ricevuto ieri anche una lettera minatoria: nella busta una copia di un articolo di giornale con foto di Michele, sbarrata da una croce rossa, a penna. Come se la mano malata dell’autore avesse voluto cancellare l’errore in un tema di italiano: come per correggere una sbavatura, una stortura, un errore. E’ il termine che mi sembra più giusto. Senza rendersi conto, mi riferisco all’autore della lettera (peraltro sgrammaticata), che l’errore è invece chi crede che la violenza, l’illegalità, il ricatto, le minacce siano la normalità, lo strumento di costruzione di un impero, di detenzione di un potere che deve superare il tempo, i luoghi e le persone.
Questo dominio, questo delirio di onnipotenza, questa taciturna impunità è talmente rivoltante da non apparire neppure umana. Eppure è la stessa identica impunità che ho letto nella vicenda di un altro uomo, finito morto ammazzato, e su cui ancora non si conosce la verità. A parecchi mesi dalla morte, di Peppino Basile, ex muratore, consigliere comunale di Ugento e Consigliere provinciale di Lecce, non si sa nulla. La polvere fatta alzare sul caso, di tradimenti, tresche amorose, fatti di donne e di denari, s’è posata sul terreno da quale si era alzata. Il vento l’ha allontanata portando alla luce una serie di vicende del territorio su cui Peppino aveva visto giusto.
Sono vicino a Michele, sono vicino a Peppino, ovunque egli sia, sono vicino a chi decide di non farsi piegare. Anche se è difficile.

Donato Menga

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